(Tornare) a donare il sangue è ancora più bello in tempi di crisi
Credo che donare il sangue sia l’atto di volontariato più semplice e naturale per chi, come me, non ha timore degli aghi ed è in buona salute.
Lo credo da sempre. A 18 anni e un giorno ero al centro trasfusionale, fiera di me come solo un’adolescente soddisfatta può essere.
Ho continuato a donare per i successivi 7 anni in maniera abbastanza regolare. Ma la vita a volte è triste ed è capitato che per un certo periodo non avessi più nessuna voglia di vedere gli ospedali. A questo si sono aggiunte le difficoltà della vita da adulta, il fatto che sei (o credi di) essere sempre troppo impegnata. E quindi per oltre 13 anni non ho più dato il mio sangue a chi ne aveva bisogno.
Poi è arrivata l’epidemia di Covid, il lavoro da casa una strana sensazione tra noia e incapacità di fare le cose. E soprattutto il mio amico Matteo e la sua foto dalla poltroncina del centro trasfusionale coadiuvata dal seguente messaggio: “Ora che siete a casa prenotatevi per le donazioni sangue, non fate storie, le chirurgie e molti altri che hanno bisogno sono nelle difficoltà” (preciso che il messaggio è stato edulcorato per essere adeguato alle orecchie dei più).
Ho pensato che fosse quello il momento, che non potevo più avere scuse. Ed è così che ho parlato con Chiara. Intensa, precisa e puntuale segretaria di Avis Pisa che, siccome non era già abbastanza impegnata, ho disturbato anche per questa intervista.
Prima di lasciarvi alle sue parole vi dico che alla fine il test di idoneità mi ha certificato (di nuovo) abile e arruolata, così, appena possibile, sono andata a donare il sangue. La situazione è sicurissima (febbre, gel mascherine e guanti), ma proprio per questo un po’ complicata e con composte file di donatori alla dovuta distanza che aspettano il proprio turno.
Ho scoperto che le poltrone non sono più rosso-sangue (e menomale) e che tutti sono ancora molto premurosi. E soprattutto che c’è ancora la colazione in omaggio (cappuccino e brioche non sono buoni come quando non li mangi da 50 giorni)!
Se siete interessati a diventare donatori trovate tutte le informazioni sulla scheda A.V.I.S. Comunale Pisa.
Ciao Chiara, ci racconti come hai iniziato il rapporto con AVIS, cosa ha mosso il tuo desiderio di essere una operatrice del volontariato?
Ero giovanissima e studiavo giurisprudenza anche con ottimi risultati. Ma volevo rendermi autonoma ed indipendente. Lavorando in un fine settimana come hostess ad uno stand, mi trovai casualmente immersa nel mondo dei donatori di sangue alla Fiera di S. Ubaldo: Manrico, Grazia, Angelo, Paolo, Giovanni e tanti altri. Mi fecero scoprire una realtà molto complessa e piena di entusiasmo, allora per me sconosciuta. Furono proprio Manrico e Grazia a spingermi a partecipare ad una selezione per lavorare in AVIS Pisa che cercava personale. Inaspettatamente la vinsi e, dopo 25 anni, eccomi ancora qui. Con l’entusiasmo della giovane età, giorno dopo giorno, ho cominciato a reggere carichi di lavoro, anche emotivamente, pesanti. Certo, il mio è un lavoro e va inquadrato come tale. Ma da sempre è permeato di quell’umanità e di quei valori che sono indispensabili per dedicarsi alla causa senza guardare orologio o giorni della settimana.
In tempi “normali” come si organizzava il lavoro della segreteria?
Era, ed è, un lavoro di segreteria attiva, metodico, intervallato da frequenti periodi entusiasmanti per organizzare eventi di grande portata. Ci occupiamo di tutti gli aspetti organizzativi, delle iscrizioni, della gestione degli archivi soci, della ricerca di donatori in emergenza, degli acquisti, della gestione delle prenotazioni, delle benemerenze, dei contatti con le scuole, dell’accoglienza dei donatori al Centro Trasfusionale, della gestione dei ragazzi del Servizio Civile, dell’organizzazione degli eventi, della gestione della contabilità di base e tante altre cose.
In questi 25 anni ho visto organizzare dal Consiglio, e di conseguenza ho partecipato a realizzare, eventi con decine di migliaia di persone. Un impegno infinito, fatto di lavoro serale, festivo, continuativo. Da sempre all’AVIS di Pisa, ci consentono di gestire il tempo di lavoro con grande flessibilità che, di contropartita, porta con sé la disponibilità ad adattarci alle varie necessità. Ma la soddisfazione di promuovere il dono del sangue attraverso il mio lavoro è davvero importante. Sapere che migliaia di persone guariscono grazie al nostro contributo ripaga delle delusioni che si materializzano quando ti comunicano che, nonostante gli sforzi per trovare donatori, qualcuno non ce l’ha fatta.
E adesso?
Normalmente, la sede è sempre stata un punto di riferimento per i nostri soci, che oltre per dettagli organizzativi per la donazione o per domande, passavano anche solo per fare un saluto o condividere dei pensieri, parlare della propria vita o dei problemi del momento. Probabilmente grazie anche al mio carattere, con alcuni si è creata una empatia spontanea che ha portato il lavoro di segreteria a trasformarsi anche in un “rapporto di amicizia”. Con il COVID19 è cambiato molto. Siamo stati sempre operativi e anzi abbiamo lavorato ancora più di prima per supportare le necessità del Centro Trasfusionale. Ma la segreteria è stata chiusa al pubblico. La sede è stata attrezzata in tempo reale con DPI, schermi di protezione, distanze e turni in sede e al Centro Trasfusionale. Il lavoro si è trasformato riducendo a zero il contatto diretto in sede e amplificando il lavoro in remoto, sia dalla sede che da casa, che direttamente al Centro trasfusionale. Sono saltati tutti gli orari. Alle richieste di iscrizione o prenotazione ho iniziato a rispondere a qualunque ora anche della sera o dei giorni festivi. I sabati e le domeniche li ho passati in sede a gestire le numerose pratiche accumulate nei giorni precedenti. Non riuscivo a rispondere in tempo reale a tutte le telefonate, mail e messaggi FB. Una vera tempesta di generosità e di voglia di mettersi a disposizione.
C’è stato e c’è tutt’ora un aumento delle richieste durante la pandemia covid?
In realtà abbiamo avuto un primo periodo, all’inizio di marzo, in cui si sono praticamente esaurite le scorte. Nessuno andava al Centro Trasfusione e nessuno si sentiva sicuro. Anche su spinta di AVIS è stato messo a punto un protocollo di sicurezza per il dono, un numero contingentato di accessi, la prenotazione obbligatoria attraverso le associazioni. Gli appelli televisivi, unitamente alla maggiore disponibilità di tempo e di riflessione dei singoli, hanno poi generato un’attenzione particolare sul dono, pur con le paure e le diffidenze del recarsi in ambiente ospedaliero. Il nostro Presidente è stato il primo ad andare a donare al Centro Trasfusionale di Pisa per dimostrare la sicurezza delle nuove procedure e da quel momento il telefono non ha mai smesso di suonare. Ci hanno contattato soprattutto persone che non avevano mai donato ma avevano il desiderio di iniziare. C’è da evidenziare che nonostante la disponibilità, non sempre è possibile concretizzare il dono. I criteri di esclusione sono molti e frequentemente anche chi decide di provarci, scopre nel percorso di avvicinamento al dono, di non avere le caratteristiche per diventare donatore.
Cosa ti sembra che sia cambiato? La pandemia ha reso più difficile la donazione?
Per certi aspetti ha reso obbligatorie delle buone prassi che prima erano solo suggerite. In particolare la prenotazione obbligatoria del giorno e dell’orario della donazione rende l’accesso al centro più regolare e riduce i tempi di attesa consentendo un’organizzazione del lavoro più efficace. Poi in realtà il COVID non è trasmissibile con il sangue e anzi sono note a tutti le potenzialità del plasma iperimmune, al vaglio della comunità scientifica. Ovviamente è la sicurezza del donatore che si reca al Centro che va garantita rispetto alla diffusione del virus e per questo sono state assunte molte procedure preventive che sono generalmente state apprezzate. Questa emergenza, in realtà, ha messo in luce il fondamentale ruolo delle Associazioni di Volontariato come AVIS cui tutti, volendo donare, dovrebbero iscriversi. Senza il lavoro incessante del volontariato, in questi mesi non sarebbe stato possibile dare risposta a tutte le richieste, smistare le domande, prenotare le donazioni e modificare in tempo reale i flussi al centro secondo le necessità o gli impedimenti dell’ultimo momento. Quindi questa pandemia ha acceso un faro, amplificando la portata, sull’attività quotidiana che svolgiamo incessantemente per dare risposta alle emergenze ricollegabili alla necessità di sangue.
Capita che in momenti di grande empatia nazionale ci siano le corse all’impegno nel volontariato. Presenze che poi si esauriscono quando si torna alla vita normale. Pensi che potrebbe essere così anche adesso?
Mi auguro di no, ma penso purtroppo che sarà così anche questa volta. Bisognerebbe riflettere sulle costanti necessità del settore trasfusionale e non su quelle emergenziali. Ogni giorno, tutto l’anno e ogni anno, migliaia di persone vivono e si curano grazie al dono anonimo, volontario e gratuito dei nostri associati. E’ una emergenza continua che trova risposta nella pianificazione e nell’organizzazione ma che richiede la disponibilità dei nostri soci e di coloro che vorranno diventarlo.